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Written by: Inchieste

Il pubblico (squattrinato) strizza l’occhio al privato. Il caso di Milano

Franco Zinna e Paolo Simonetti, della direzione centrale sviluppo del territorio del Comune, spiegano perchè Milano è un caso d’avanguardia illustrando due casi virtuosi, otto interventi di housing sociale con la concessione in diritto di superficie novantennale di otto aree a canone di locazione sociale, moderato e convenzionato (foto 1 l’area di via F.lli Zoia, promotore Cooperativa Solidarnosc e Ferruccio De Gradi, progetto AUS architetti, Prassicoop e Luca Mangoni) e i bandi Abitare a Milano 1 e 2 (foto 2 il complesso di via Ovada concluso a gennaio 2011 121 alloggi, 2 negozi, 1 bar: consegnati gli alloggi a canone sociale; a bando quelli a carattere convenzionato, Cecchi e Lima Architetti Associati).
Franco Zinna: A Milano stiamo cercando di legare il tema urbanistico a quelli edilizio e gestionale. Il Comune ha messo a disposizione otto aree per la realizzazione di un progetto «variegato», composto di edilizia sociale, agevolata, a canone convenzionato e in vendita. Per rendere appetibile la cosa, il diritto di superficie al metro quadrato di SLP per le parti previste a pigione è stato portato a 1euro/mq, e la Regione Lombardia ha stanziato un contributo pari all’80% del costo di costruzione degli alloggi a canone sociale o moderato. C’è stata una buona risposta di mercato: abbiamo avuto 29 offerte, che abbiamo valutato non solo dal lato economico ma soprattutto da un punto di vista della qualità del progetto. Infatti è importante non creare ghetti: l’intervento del Comune è dunque fondamentale, da una parte cercando d’impedire che all’interno di un’area le zone migliori siano riservate agli edifici in vendita, dall’altra non applicando pedissequamente la graduatoria, ma cercando di scegliere i destinatari degli appartamenti tra i rappresentanti di diversi gruppi sociali. L’ideale sarebbe in realtà il processo contrario: Comune e operatore dovrebbero collaborare nella definizione delle diverse tipologie abitative, in base al mix sociale che si desidera ottenere. Inoltre gli edifici di housing sociale dovrebbero avere, almeno esternamente, il medesimo aspetto di quelli in vendita. L’assegnatario del progetto ne avrà poi l’obbligo di gestione, in maniera diretta o costituendo un’Ati. Avendo a che fare con fasce deboli della popolazione, quello della gestione è uno degli aspetti che maggiormente preoccupa gli operatori; la cosa si potrebbe aggirare istituendo un Fondo di garanzia che si occupi di rifondere il gestore dei canoni non pervenuti, ma solo in caso di motivi dimostrabili da parte dei locatari. Altra questione spinosa, nel caso d’intervento in aree già urbanizzate, è la risposta della popolazione. In uno dei nostri primi progetti, «Abitare a Milano» in via Gallarate, si sono avuti episodi di deciso ostruzionismo. Per questo abbiamo fatto un’altra scelta sugli altri sette interventi: anziché prevedere solo canone sociale e moderato, abbiamo scelto di introdurre anche il canone «convenzionato», accessibile a una fetta più larga della popolazione, così da creare maggiore varietà sociale.
Paolo Simonetti: Una delle difficoltà legate a questi progetti è che sono nati sacrificando aree precedentemente destinate a standard urbanistici, e dunque ad aree verdi, parcheggi, ecc. Ci ritroviamo così con zone densamente popolate, prive dello sfogo che sarebbe loro necessario. Inoltre tali iniziative comportano un consumo di suolo che va contro tutte le più recenti direttive regionali, nazionali, europee. Risulta però difficile limitare i numeri: in Comune sono pervenute oltre 18.000 richieste, e un intervento per 3-4.000 unità abitative non sarebbe che un palliativo. D’altra parte, però, il Comune non dispone d’infinite risorse, né può «cementificare» ogni area libera. Qui entrano in campo i privati, chiamati a intervenire nelle Atu (le Aree di trasformazione urbana: scali ferroviari dismessi, caserme dismesse ecc.), per le quali finora era previsto l’indice obbligatorio dello 0,35 di edilizia sociale e convenzionata. Ora, con la revoca del Piano di governo del territorio la percentuale può variare da caso a caso, arrivando anche fino allo 0,40, o scendendo allo 0,30. Questo perché spesso, qualora si tratti di aree attualmente esterne alla città, gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria non sono sufficienti a coprire i costi degli interventi effettivamente necessari. Maggiori costi che vanno ovviamente a riversarsi sugli appartamenti in vendita, e non su quelli di edilizia sociale; l’oscillazione delle percentuali tenta di riequilibrare il mercato. Altro fatto da non sottovalutare è che l’operatore spesso non ha la possibilità né la capacità, e spesso neppure l’intenzione, di gestire per 20-30 anni gli edifici di edilizia sociale, cosa che di fatto apre la strada alle società d’investimento immobiliare quotate (tra le prime nate, quella di IGD e Beni stabili).

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Last modified: 10 Luglio 2015